
OpenAI, l’azienda conosciuta in tutto il mondo per il successo di ChatGPT, sta preparando una mossa sorprendente: lanciare un proprio social network.
Una decisione che può sembrare insolita per un’azienda nata con l’obiettivo di sviluppare intelligenza artificiale, ma che rivela una strategia profonda e mirata in un’epoca in cui i dati valgono quanto l’oro.
Non si tratta semplicemente di entrare in competizione con i giganti come Meta o X (ex Twitter), ma di conquistare il vero potere del nostro tempo: il controllo dei dati generati dagli utenti.
OpenAI entra nel mondo dei social network: perché adesso?
Le prime indiscrezioni parlano di un prototipo di social network in fase di sviluppo all’interno di OpenAI.
Al centro del progetto, la possibilità di condividere contenuti creati tramite l’intelligenza artificiale, in particolare immagini generate da ChatGPT, in un feed scorrevole, proprio come avviene su Instagram o TikTok.
L’obiettivo? Trasformare l’interazione con l’IA da esperienza individuale a piattaforma collettiva. Le tempistiche non sono casuali.
Nel 2025, ChatGPT ha raggiunto oltre 400 milioni di utenti settimanali, diventando l’applicazione più scaricata al mondo.
Con questa base utenti già consolidata, OpenAI potrebbe facilmente convertire anche una piccola percentuale in partecipanti attivi a un social network. A quel punto, il successo iniziale sarebbe praticamente garantito.
Inoltre, il CEO Sam Altman ha mostrato pubblicamente interesse, anche in modo provocatorio, verso il mondo social. In risposta ai progetti AI di Meta, Altman ha ironizzato su un possibile sviluppo di una app sociale targata OpenAI.
Alla fine, l’ironia si è rivelata un’anticipazione reale. Il tutto condito da una certa competizione personale, e mediatica, con Elon Musk, cofondatore di OpenAI e ora proprietario di X. Una sfida che va ben oltre le tecnologie, e tocca equilibri di potere tra colossi dell’innovazione.
Il legame fra intelligenza artificiale e piattaforme social sta diventando sempre più stretto. L’industria tecnologica è impegnata in una nuova corsa agli armamenti digitali, dove ogni player cerca di dominare l’ambito sia della comunicazione che dell’AI.
Meta, ad esempio, sta integrando assistenti digitali nelle chat e contenuti generati da AI nei suoi feed. Elon Musk ha inserito Grok, chatbot sviluppato con xAI, all’interno di X. Perfino Snapchat ha un “amico virtuale” alimentato da IA.
Parallelamente, le aziende specializzate in AI stanno cercando di entrare nello spazio sociale. È il caso, per l’appunto, di OpenAI.
Data wars: la vera posta in gioco
In questo contesto, costruire una rete sociale proprietaria significa controllare sia il mezzo che il messaggio, unendo infrastruttura e contenuto all’interno di un unico ecosistema.
Tutti vogliono essere l’“everything company” del futuro: da Google, che ha già YouTube e Gmail, a Meta che gestisce amici, foto e ora anche avatar AI.
In questo scenario, OpenAI vuole giocare la stessa partita. Dopo aver dominato il settore AI, il passo successivo è infiltrarsi nei territori dei social network per consolidare il potere strategico sull’informazione e sull’interazione online.
Ma qual è il vero motivo dietro questa mossa? La risposta si riassume in una parola: dati. I social network non sono altro che immensi giacimenti di informazioni.
Ogni contenuto creato dagli utenti, che siano post, immagini, commenti o meme, rappresenta materia prima preziosissima per addestrare modelli di intelligenza artificiale.
Fino a oggi, OpenAI ha dovuto raccogliere dati da terze parti, scontrandosi spesso con limiti API, cause legali o costi crescenti. Yahoo, Reddit e lo stesso X hanno iniziato a limitare l’accesso gratuito ai propri archivi digitali.
Con un social network proprietario, OpenAI può generare un flusso continuo di dati, libero da vincoli esterni e perfettamente adattato ai propri algoritmi. In pratica, ogni interazione degli utenti diventa un contributo diretto allo sviluppo di ChatGPT e di altri sistemi futuri.
E questo, nell’attuale fase di evoluzione dell’AI, potrebbe fare la differenza tra restare leader di settore o finire superati.
Il punto di vista Web3: tra entusiasmo e cautela
Costruire un social non significa solo raccogliere dati: vuol dire anche definire le regole del gioco.
Chi possiede la piattaforma decide cosa viene mostrato, quali algoritmi vengono utilizzati e come viene gestito il dialogo tra utenti. Se OpenAI dovesse riuscire a far decollare il proprio social network, avrebbe in mano un’influenza immensa sui flussi informativi.
Da un lato, questo scenario può sembrare positivo. Nessuno, meglio di OpenAI, potrebbe distinguere tra contenuti reali e falsi, tra bot e utenti veri.
In teoria, il loro network potrebbe essere uno dei più sicuri, puliti e ben moderati mai visti. I contenuti dannosi verrebbero bloccati automaticamente, i troll identificate subito, la disinformazione contenuta prima che si diffonda.
Dall’altro lato, però, affidare tutto questo potere a un’unica entità solleva interrogativi inquietanti. Gli algoritmi potrebbero privilegiare contenuti favorevoli all’immagine di ChatGPT, o post capaci di generare più interazione (e quindi più dati).
Le linee fra ciò che è umano e ciò che è generato dall’AI rischiano di confondersi, lasciando gli utenti in balia di una narrazione controllata non da editori o utenti, ma da modelli matematici.